“Non si può pensare bene, né amare bene, né dormire bene, se non si è pranzato bene”.
A scrivere tale sagace frase, non è stata un’illuminata massaia del nostro sud suddissimo, bensì – a dimostrazione del fatto che l’approccio sentimentale verso il cibo è universale – una ossuta, intelligente, colta scrittrice anglosassone: Virginia Woolf.
Non sapremo se Virginia, abbia mai incontrato l’illuminata massaia, se sia stata mai introdotta ai molteplici piaceri multisensoriali della cucina calabra, al punto da farle pronunciare una frase così. Però noi tutti, di queste parole, ne percepiamo la profonda verità.
Noi che siamo testimoni, destinatari, fruitori, creatori, cultori, ricercatori delle gioie saporose di cibi cucinati con cura e amore. Perché è così, in cucina, tutti i sensi vengono coinvolti e sedotti da pietanze create da mani amorevoli.
Il primo: l’olfatto, che è la porta aperta al profumo del cibo e ti conduce lieve nel mondo dell’immaginazione che gioca con la memoria: il cibo che non vedi ancora, ma che, grazie all’olfatto assume una forma, riceve un nome e stimola ricordi.
Poi continui, seguendo l’invisibile percorso odoroso che ti guida fino alla bellezza materiale di ingredienti combinati tra di loro, come in un gioco alchemico. E’ la vista ora che, unita all’olfatto, ti regala la percezione di cosa il gusto da lì a poco sentirà.
Penultimo il tatto, che si avvale dalle labbra e del palato, porta d’ingresso al sapore.
Poi tutto il resto è piacere.
Ché mangiare non è un vuoto gesto meccanico, ma una danza di sensi, di emozioni sublimi e felici. Noi questo lo sappiamo.
E’ un piacere che inizia nel momento in cui entri in cucina e combini, con arte sapiente e antica, i cibi, come parole in una lettera d’amore.
E’ un piacere che raggiunge l’apice mangiando, degustando il racconto gioioso scritto tra fornelli e tavoli.
E poi, poi, dopo aver mangiato bene, ci sarà concesso di pensare, amare e dormire bene.